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Sotto il profilo filosofico, è interessantissimo notare come tutti coloro che hanno indagato il tema delle qualità positive della vita, del benessere e della felicità, convengono senza alcun dubbio sul fatto che c’è un solo aspetto che non può mai mancare perché queste qualità possano manifestarsi: la fatica, lo sforzo, l’impegno.

Non esiste una forma di impegno che non implichi fatica, attenzione, dispendio di energie fisiche e mentali, persino una sorta di sofferenza e certamente molto sacrificio e rinunce consapevoli in vista dell’obiettivo.

La filosofia della felicità, dunque, in estrema sintesi, è giunta alla conclusione che, dato per scontato il fatto che gli esseri umani perseguono la felicità, quest’ultima possa essere raggiunta (mai pienamente e definitivamente) solo se in cambio si immette la propria energia personale nel sistema, e questa energia non è una dichiarazione di intenti, una manifestazione di buona volontà o una citazione edificante, ma semplicemente vera e propria ‘fatica’. La fatica è un costo, e quindi è naturale che molti, privi di consapevolezza sulla modalità con cui funziona filosoficamente il mondo, cerchino di ottenere uno sconto, una riduzione della pena, un’esenzione da essa. Stare bene, mantenersi in forma e in salute, migliorare la propria conoscenza e competenza per sviluppare le abilità che ci servono per vivere meglio e comunicare efficacemente con gli altri, tutto costa fatica.

Ma Perché fare la fatica di informarsi, di comprendere il significato di un fenomeno, se la vita scorre lo stesso e ciò che richiede in maniera più impellente è solo il soddisfacimento di bisogni e piaceri poco più che fisiologici?

La risposta a questa domanda è una sola: l’autorizzazione ad aiutare a cambiare lo stile, la visione e il significato della propria vita può venire solo dalla persona stessa. Il counselor del benessere può mettere a disposizione, con molta prudenza e solo se è certo di non condizionare in alcun modo il cliente, tutte le risorse utili e necessarie per iniziare un percorso di crescita personale, ma se questa persona non intende crescere, è a lei che spetta l’ultima parola. Tutto quello che un counselor può fare, in maniera eticamente e deontologicamente corretta, è rispondere alle sue domande ed esigenze, ma senza mai prendere l’iniziativa di far cambiare la persona nella direzione che noi riteniamo più giusta e corretta per vivere al meglio la vita.

Il counselor è un consulente, non una guida spirituale che indirizza le persone lungo un percorso definito assumendo il controllo e la supervisione sulla loro vita, in modo da assicurarsi che i propri clienti non devino dalla norma imposta dalla ideologia ai cui dettami si sono assoggettati. Il counselor non insegna una disciplina, un’arte, una ideologia, ma le insegna tutte, nel senso che mette a disposizione del cliente, in forma di consulenza e non di prescrizione, tutte le informazioni e tutti gli strumenti cognitivi che possano essere utili perché quest’ultimo, e solo quest’ultimo, da solo, si formi una opinione informata e decida cosa fare della sua vita. Il counseling può solo portare una persona a riflettere, se vuole, a mettere alla prova la validità delle proprie credenze, a cercare di comprendere meglio e sotto altri punti di vista il significato della sua vita.

Ma quando si supera una certa soglia di consapevolezza, non si può più tornare indietro: quando una persona ha una crisi di risveglio, e scopre che c’è tutto un mondo inesplorato di cui non aveva conoscenza e, specialmente, che sente dentro di sé un bisogno e un entusiasmo che la portano a volerlo esplorare, allora il percorso di consapevolezza e di ricerca di realizzazione è già iniziato e non si può più fermare.



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