La psicologia sperimentale insegna molto sulla condizione umana e i comportamenti che teniamo ogni giorno. Vediamo la seconda parte degli esperimenti celebri di psicologia. La prima parte la trovi cliccando qui.
IL PICCOLO ALBERT
L’esperimento del piccolo Albert fu condotto nel 1920 dagli psicologi John Watson e Rosalie Rayner alla Johns Hopkins University. Un bambino dall’età inferiore di un anno, di nome Albert, è stato messo su un materasso nel mezzo di una stanza. Un ratto da laboratorio bianco è stato collocato vicino al piccolo che si è dimostrato subito incuriosito dall’animale. Nei giorni successivi ogni volta che Albert cerca di interagire con il topo, un grosso tubo di ferro viene colpito da un martello. Albert risponde al rumore piangendo e mostrando paura. Più i giorni passano e più Albert si mostra spaventato ed irrequieto, e non solo quando vede il topo: il piccolo sviluppa una paura nei confronti di tutto ciò che è peloso e bianco. Il ratto, originariamente uno stimolo neutro, è diventato uno stimolo condizionato che suscita nel piccolo una risposta emotiva simile al disagio originariamente procurato dal rumore. Lo studio dimostra che la paura può essere indotta tramite condizionamento.
LA MADRE SURROGATA
La madre surrogata Harry Harlow, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, ha studiato l’importanza dell’amore di una madre per uno sviluppo sano durante l’infanzia. Per fare ciò ha condotto una serie di esperimenti sulle scimmie. Harlow separò una serie di cuccioli dalle loro madri biologiche entro 6-12 ore dalla nascita e li mise accanto a due madri surrogate inanimate: la prima denominata madre di pezza era soffice e riscaldata ma senza latte, mentre la seconda, denominata madre di ferro, era formata da fili d’acciaio ed assolutamente inadatta a dare affetto, ma possedeva un biberon contenente l’alimento liquido. Le scimmiette rimanevano tutto il tempo abbracciando la madre di pezza, ma poi quando avevano fame correvano dalla madre di ferro. Dopo essersi nutrite in pochi secondi, tornavano subito indietro. L’esperimento dimostrava che il legame tra madre e bambino non è basato unicamente sul fatto che la prima sia in grado di soddisfare i bisogni fisiologici del figlio. Il bisogno affettivo è dunque più importante di quello nutrizionale.
IL BUON SAMARITANO
Nel 1973 al Seminario Teologico di Princeton, gli studenti parteciparono a un esperimento che apparentemente era uno studio sull’educazione religiosa. In un edificio i partecipanti erano prima chiamati a compilare un questionario, poi incaricati di recarsi in un’altra struttura per tenere un sermone sul lavoro o sulla parabola del Buon Samaritano. Ai partecipanti venne detto di sbrigarsi, ma in misura diversa. Sulla strada verso il secondo edificio, un membro del seminario (attore che fa parte dello studio) fa finta di star male e di aver bisogno di aiuto. L’esperimento ha dimostrato che a influenzare il comportamento degli altri seminaristi non è il discorso che dovevano tenere nell’edificio (sul buon samaritano o sul lavoro), ma il fattore determinante nell’offerta di aiuto è il tempo disponibile. Il 63% dei giovani che non sono sotto pressione per limiti di tempo aiutano il soggetto in difficoltà, mentre coloro che si credono in ritardo non si fermano. Da ciò si evince che gli atti di gentilezza siano maggiormente influenzati da fattori situazionali e non dall’indole delle persone.
ESPERIMENTO DI ASCH
L’Esperimento di Asch è stato ideato dallo psicologo sociale polacco Solomon Asch nel 1956. Secondo la ricerca dello studioso l’essere membro di un gruppo è una condizione sufficiente per modificare le proprie azioni e anche i giudizi e le percezioni visive di una persona. Nell’esperimento un soggetto è portato in una stanza insieme ad altre persone, attori che in precedenza avevano ricevuto istruzioni su come comportarsi. Asch mostra un’immagine con tre linee numerate e chiede ad ogni persona nella stanza di identificare la linea più lunga. Gli attori hanno risposto per primi, scegliendo di proposito la linea sbagliata, facendo un errore palese e ovvio. I risultati hanno mostrato che, in media, il 32% dei soggetti ha dato risposte chiaramente scorrette, dimostrando ancora una volta che le persone tendono a conformarsi al gruppo nonostante prove evidenti davanti ai loro occhi.
BAMBOLA BOBO
L’esperimento Bambola Bobo fu eseguito nel 1961 da Albert Bandura, per verificare la sua convinzione che l’aggressività dei bambini non sia genetica, ma riprodotta per imitazione. Per provarlo e dimostrare che i bambini si ispirano ai modelli adulti, lo studioso ha separato i partecipanti in gruppi. Nel primo gruppo inserì uno dei suoi collaboratori che si mostrò aggressivo nei confronti di un pupazzo gonfiabile chiamato Bobo. L’adulto picchiava il pupazzo con un martello. Nel secondo gruppo, un altro collaboratore giocava con le costruzioni di legno senza manifestare alcun tipo di aggressività nei confronti di Bobo. Il terzo gruppo era formato da bambini che giocavano da soli e liberamente, senza alcun adulto con funzione di modello. In una fase successiva i bambini venivano condotti in una stanza nella quale vi erano giochi neutri (peluche, modellini di camion) e giochi aggressivi (fucili, Bobo, una palla con una faccia dipinta legata ad una corda). Lo studioso dimostrò che i bambini che avevano osservato l’adulto picchiare Bobo manifestavano maggiori comportamenti aggressivi, sia rispetto a quelli che avevano visto il modello pacifico sia rispetto a quelli che avevano giocato da soli.
EFFETTO SPETTATORE
Il fenomeno psicologico noto come effetto spettatore, fu reso popolare dagli psicologi sociali Bibb Latané e John Darley in seguito all’omicidio del 1964 a New York di Kitty Genovese, accoltellata a morte vicino casa sua nel quartiere di Kew Gardens, distretto del Queens. La ragazza fu pugnalata a morte fuori dal suo appartamento e diversi passanti non intervennero per assisterla o chiamare la polizia. Latané e Darley attribuiscono «l’effetto spettatore» alla percezione della diffusione della responsabilità (gli osservatori hanno più probabilità di intervenire se ci sono pochi o nessun altro testimone) e l’influenza sociale (gli individui imitano il comportamento degli altri). Nel caso di Genovese, ogni osservatore, vedendo che nessuno interveniva, concludeva che il proprio personale aiuto non era necessario.
EFFETTO HAWTHORNE
Con effetto Hawthorne si indica l’insieme delle variazioni di un fenomeno, o di un comportamento, che si verificano per effetto della presenza di osservatori. L’esperimento fu condotto negli anni ‘20 negli Usa per studiare gli effetti delle condizioni di lavoro sulla produttività. Due gruppi di dipendenti nello stabilimento Hawthorne furono usati come cavie. Un giorno si decide di migliorare l’illuminazione nell’area di lavoro di un gruppo, mentre quella dell’altro gruppo rimane invariata. I ricercatori scoprono che la produttività dei lavoratori con maggiore illuminazione è aumentata. Successivamente le condizioni di lavoro dei dipendenti sono state modificate anche in altri modi (orario di lavoro, pause di riposo e così via) e in tutti i casi la loro produttività è migliorata. Gli studiosi hanno dedotto che non erano i cambiamenti delle condizioni di lavoro che stavano influenzando la produttività, bensì il fatto che i dipendenti si rendevano conto di essere oggetto di attenzione: a far cambiare i livelli di produttività erano fattori di ordine psicologico e non sociologico.
LE PAROLE CHE USIAMO
Nel 1974 fu condotto dalla Elizabeth F. Loftus e Helen Palmerun un esperimento in cui a una serie di persone furono fatte vedere immagini di due auto protagoniste di un incidente automobilistico. A ogni persona fu chiesta a che velocità viaggiassero. A seconda del verbo usato nella domanda (colpito, urtato, fracassato e distrutto) le persone aumentavano di gran lunga la stima della velocità.
Fonte: UNIPSI 2021
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