In un precedente articolo abbiamo visto alcuni limiti, o fraintendimenti, della psicologia moderna e di come questa metta al centro la patologia della persona, piuttosto che la persona stessa, con la sua intrinseca dignità. Vediamo altri punti.
3. Correggere la debolezza crea prestazioni ottimali Secondo Clifton e Nelson (1996), il comportamento e la mentalità di molti insegnanti, datori di lavoro, genitori e leader è guidato dall’implicita convinzione che le prestazioni ottimali derivino dalla correzione dei punti deboli. In effetti, per promuovere lo sviluppo professionale, i dipendenti sono generalmente esposti a programmi di formazione che si concentrano sulla correzione della loro debolezza. Analogamente, le interviste di valutazione si concentrano spesso su aree che necessitano di miglioramenti e aspetti del lavoro in cui i dipendenti sono in genere alle prese. A scuola, gli insegnanti non cercano di promuovere l’indirizzamento delle risorse degli studenti verso quelle attività per cui questi ultimi si mostrano più interessati e dotati, ma si ostinano a cercare di portarli a un livello pari a quello considerato standard nelle materie in cui mostrano difficoltà o disinteresse. In genere, lo studente non viene valutato per ciò che è bravo a fare, ma per ciò in cui mostra difficoltà. Ora, se è vero che la scuola deve formare gli studenti fornendo ad essi una istruzione almeno sufficiente in tutte le materie, è discutibile che sia necessario dedicare così tante risorse, attenzioni, ripetizioni private a migliorare la prestazione dello studente in una materia che non gli interessa, piuttosto che in una nella quale può fare bene, con facilità, con creatività, con originalità. Insomma, ancora oggi si privilegia l’omologazione piuttosto che lo sviluppo e la cura di ciò che lo studente effettivamente è. Il numero di errori è solo quello che viene evidenziato quando il suo lavoro viene corretto, e quando le pagelle vengono portate a casa, i voti più bassi tendono ad attrarre più attenzione. Secondo Clifton e Nelson (1996), la correzione della debolezza non si tradurrebbe in un funzionamento ottimale della persona o dell’organizzazione. Dal loro punto di vista, la correzione del deficit, nel migliore dei casi, aiuterà l’individuo o l’organizzazione a diventare normali o nella media, ma non favorisce e non migliora l’emergere dell’eccellenza.
I risultati della ricerca mostrano che l’opportunità di fare ciò che si sa meglio ogni giorno (cioè usare i propri punti di forza) è un predittore fondamentale del coinvolgimento sul posto di lavoro (Harter, Schmidt, & Keyes, 2002); l’impegno sul posto di lavoro, a sua volta, è un importante fattore predittivo delle prestazioni (si veda, ad esempio, Bakker & Bal, 2010; Salanova, 2005). Queste conclusioni supportano indirettamente l’affermazione di Clifton e Nelson (1996) secondo cui l’aumento dell’uso dei punti di forza, piuttosto che il miglioramento delle debolezze, contribuisce a prestazioni ottimali.
4. Le debolezze meritano più attenzione perché i punti di forza si prenderanno cura di se stessi
Un altro equivoco che contribuisce a concentrarsi eccessivamente sulla debolezza implica la convinzione che i punti di forza non richiedono molta attenzione perché si prenderanno cura di se stessi e si svilupperanno in modo naturale. Proprio come le abilità, i punti di forza possono essere addestrati e sviluppati intenzionalmente e consapevolmente (Borghans, Duckworth, Heckman, & ter Weel, 2008; Peterson & Seligman, 2004).
Ad esempio, la ricerca ha dimostrato che, attraverso la pratica, le persone possono imparare ad essere più ottimiste (Meevissen, Peters & Alberts, 2011). In generale, questi studi dimostrano che nel tempo, la pratica e l’impegno possono aiutare a costruire nuove abitudini che aumentano l’uso delle proprie risorse. Migliorare le proprie risorse personali significa non solo aumentare la frequenza d’uso, ma anche il numero di diverse situazioni in cui viene applicata la risorsa. Quando i punti di forza non vengono utilizzati o addestrati, il loro potenziale impatto sul benessere rimane limitato. Quando un bambino molto creativo non è affatto o è minimamente esposto ad attività che richiedono creatività, è improbabile che il bambino sviluppi abilità, conoscenze ed esperienze che massimizzino
il suo potenziale creativo. Anche se molti punti di forza sono già presenti in un’età molto giovane, hanno bisogno di essere nutriti per realizzare il loro pieno potenziale.
5. Un focus sul deficit può aiutare a prevenire i problemi
La prevenzione di disturbi, malattie e problemi di natura organica o psicologica è compito delle scienze mediche e psicologiche e delle loro applicazioni di ricerca in ambito clinico. Tuttavia, se continuiamo a concentrarci sulla riparazione della debolezza, come se l’essere umano fosse una macchina prodotta in serie che deve soddisfare tutti gli standard richiesti dalla produzione, aumenteremo la nostra comprensione delle debolezze, ma non esiste alcuna prova che ciò incrementi la qualità della vita delle persone. Negli ultimi 40 anni, sono stati sviluppati molti interventi mirati a curare malattie mentali o altri problemi, ma questi interventi mirano principalmente a sistemare le cose quando sono già andate male. Ovviamente, è importante disporre di diversi interventi e programmi di trattamento per affrontare problemi e battute d’arresto. Tuttavia, ciò che abbiamo imparato in oltre 50 anni è che il modello della malattia non ci ha avvicinato alla prevenzione dei problemi. Quando si parla di prevenzione, la domanda non è “Come possiamo trattare le persone con il problema X in modo efficace?”, ma “Come può essere impedito il verificarsi del problema X?”.
Lavorare esclusivamente sulla debolezza e sui disturbi personali ha reso la scienza scarsamente attrezzata per progettare programmi di prevenzione efficaci. Non siamo minimamente neppure vicini alla prevenzione di gravi problemi come il burnout, la depressione, i disturbi d’ansia, quelli del comportamento alimentare o l’abuso di sostanze, tutti temi che assorbono la quasi totalità delle energie e delle risorse della psicologia. Anzi, da quando sempre più psicologi si dedicano anima e corpo a indagare, studiare, ricercare, etichettare e diagnosticare questi disturbi, a dibattere di essi in innumerevoli corsi di aggiornamento, convegni, seminari e master universitari, essi non hanno fatto altro che diffondersi sempre più. Il che è ovvio: se lo psicologo ritiene che il suo compito si esaurisca con una diagnosi corretta secondo il DSM e con l’ascolto dei problemi lamentati dal paziente e da chi gli sta vicino, passi avanti nella eliminazione dei problemi non si potranno certo fare.
Sembra, invece, che i principali progressi nella prevenzione si verifichino quando si cerca di costruire sistematicamente competenze piuttosto che correggere.
A prima vista, i malintesi precedentemente illustrati su un focus debole, orientato solo al deficit, possono far sorgere l’idea che ci si dovrebbe concentrare prevalentemente sulle forze umane, piuttosto che sulle debolezze. Anche se è vero che correggere la debolezza non creerà prestazioni o benessere ottimali, è anche vero che concentrarsi solo sulle risorse umane ignorando le debolezze può condurre allo stesso risultato, soprattutto quando le debolezze causano problemi o ostacolano l’uso ottimale delle risorse positive dell’individuo. Il problema sta nel fatto che, così come impostate le scienze mediche e quelle psicologiche, esse non sono in grado di gestire gli aspetti positivi della vita per promuovere il benessere, ma cercano comunque di arrogarsi il diritto di intervenire in maniera esclusiva sulla persona, rifiutando la collaborazione con nuove figure professionali che si occupino di gestire tali aspetti con maggiore competenza. Mentre gli psicologi tradizionali possono falsamente credere che eliminare gli aspetti negativi crei automaticamente quelli positivi, i counselor devono evitare la trappola di credere che lo sviluppo degli aspetti positivi eliminerà automaticamente quelli negativi.
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